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Il popolo del PD
Un esame di coscienza al Binario 7
Franco Isman

gli oratori
foto Fabrizio Radaelli

Ieri sera al Binario 7 il popolo del PD si è riunito a conclave per ascoltare i rappresentanti che aveva eletto in Parlamento: una folla strabocchevole che ha prima invaso la grande sala del primo piano, riempiendo i corridoi laterali, quello centrale e addirittura invadendo lo spazio dietro gli oratori, ma non è bastato, decine e decine di persone rimanevano fuori nel corridoi e addirittura ancora sulle scale. Finché il sindaco Scanagatti, anch'egli fra la folla in piedi, ha fatto in modo che ci si potesse trasferire nel teatro: riempito anche quello, platea e galleria, anche qui con parecchia gente in piedi.

Il PD è vivo è stato detto con entusiasmo dal palco: il PD è vivo e molto incazzato, questa è la situazione saltata fuori con tutta evidenza dal dibattito.
Giuseppe (Pippo) Civati, Alessia Mosca, Roberto Rampi e Lucrezia Ricchiuti erano stati chiamati a spiegare gli avvenimenti che hanno portato all'incredibile, all'inimmaginabile, alla collaborazione con il nemico di sempre, sì il nemico, non semplicemente l'avversario, perché tutti anche nel PD sono convinti che Berlusconi sia stato la rovina dell'Italia che ha portato al degrado morale ma anche materiale.
Erano stati chiamati a giustificare questo rovesciamento della posizione sempre sostenuta dal PD, sulla quale era fondata tutta la propaganda elettorale: mai con Berlusconi; a giustificare questo tradimento del mandato ricevuto dagli elettori.

Ha aperto i lavori Alessandro Mitola, segretario del PD monzese, che ha dato la parola nell'ordine a Roberto Rampi, Alessia Mosca, Lucrezia Ricchiuti e Pippo Civati, arrivato un po' in ritardo quando ci si era già trasferiti nel teatro.
Stato di necessità hanno detto i primi due, altro non si poteva fare, e questo è il leitmotiv imperante, ma anche cercato di dire che il governo Letta è un ottimo governo e che molte cose si potranno fare.

Lucrezia Ricchiuti, senatrice, ha spiegato che, come assessore al bilancio e al controllo del territorio (nonché vicesindaco) del comune di Desio, si era sempre scontrata con la piovra della 'ndrangheta e che non avrebbe mai potuto collaborare con un partito che aveva visto colluso con questi poteri, per cui non aveva votato a favore del governo Letta. Ha anche raccontato come i dirigenti nazionali del partito, da Bersani e Letta in giù, non si fossero minimamente preoccupati di informare tempestivamente i grandi elettori della situazione che si veniva sviluppando e che tutte le decisioni venivano calate dall'alto e comunicate all'ultimo momento. Delusione e angoscia il suo stato d'animo.

Pippo Civati, la cui astensione nelle votazioni ha avuto molto più risalto, ha battuto sullo stesso tema, in particolare ha raccontato come la decisione di proporre Marini alla presidenza della Repubblica (secondo le indicazioni di Berlusconi aggiungiamo noi) era stata portata in discussione all'assemblea dei grandi elettori soltanto la sera prima della votazione, che aveva immediatamente trovato un gran numero di contrari, che era stato disperatamente chiesto di votare scheda bianca l'indomani per avere il tempo di dibattere l'argomento ma che la decisione era stata quella di votare comunque. Ha anche raccontato dei suoi contatti con alcuni deputati 5stelle per cercare di convincerli a votare Prodi, senza riuscire a smuoverli dalle loro decisioni ma traendone l'impressione che, se il candidato premier fosse stato qualcun altro al posto di Bersani, il discorso avrebbe anche potuto essere differente. Il nome di Renzi non è stato fatto né in questa occasione né mai: Renzi è stato uno dei grandi assenti da questo dibattito.

Poi una prima raffica di interventi, tutti nettamente critici nei confronti della decisione di fare un governo con Berlusconi, interventi spesso applauditi dal pubblico che nella maggioranza dimostrava di essere su questa posizione. Un dibattito molto ben moderato da Fabio Maggioni, anche se alcuni sforavano i tre minuti teoricamente concessi.

Quindi le repliche dei parlamentari, in ordine inverso rispetto alle prime dichiarazioni, e una seconda ondata di interventi, più variegati, con l'intervento del vecchio funzionario di partito esplicitamente e fortemente critico nei confronti dei due che avevano negato il voto al governo Letta e numerosi appelli all'anima del PD e alla sua unità, concordi comunque sulla necessità di una sua rifondazione con un ricambio totale della dirigenza.

Tutti fortemente critici nei confronti dei 101 felloni che alla mattina avevano approvato all'unanimità la candidatura Prodi e poche ore dopo in Parlamento l'avevano biecamente impallinato. Tutti a chiedere chi fossero e qualcuno a sostenere che gli addetti ai lavori, cioè nello specifico i parlamentari presenti, non potevano non saperlo. Ma l'altro grande assente di questo dibattito è stato Massimo D'Alema che si sussurra e si scrive sia stato, con la benedizione di Giorgio Napolitano, l'orditore di tutte le trame che hanno portato a questo risultato, ma non si deve dire. E infatti nessuno lo ha detto.

Quello che non si capisce è perché non si debba trattare con la mafia ma sia invece moralmente lecito collaborare con quello che in quindici anni ha portato l'Italia e gli italiani all'attuale degrado morale ed allo sfacelo economico.

Franco Isman

il pubblico
foto Fabrizio Radaelli



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  3 maggio 2013